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jeudi, 02 décembre 2010

Summit NATO: il gioco di Ankara

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Summit Nato, il gioco di Ankara

di Alberto TUNDO

Ex: http://it.peacereporter.net/

Via il riferimento all'Iran nei documenti sullo scudo missilistico e pianificazione strategica concertata: a Lisbona la Turchia ha imposto il suo gioco

Aveva delle buone carte da giocare e alla fine della partita ha portato a casa i suoi punti. Se ha senso cercare un vincitore al termine del vertice Nato di Lisbona, allora certamente uno dei Paesi che può essere più soddisfatto del meeting è la Turchia.

Il doppio colpo di Ankara. Sono due i successi più evidenti ottenuti dalla delegazione turca, due vittorie che mettono Ankara al centro della scena e sono di fatto la consacrazione di un gioco diplomatico condotto con grande abilità dal premier Tayyip Erdogan e dal suo ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, da molti osservatori ritenuto l'ideologo di questo neo-ottomanesimo, cioè del ritorno ad una politica estera quasi imperiale. Com'era stato largamente previsto, i turchi hanno puntato i piedi su due temi in particolare, legati strettamente a quella che è diventata una priorità della politica di difesa Usa e, quindi, della Nato: lo scudo missilistico. La Turchia ha ottenuto che nei documenti ufficiali, lo schema difensivo a beneficio dei partner europei basato su un sistema di radar e missili intercettori, non sia diretto apertis verbis contro l'Iran. Allo stesso modo, ha imposto a Washington e ai partner dell'Alleanza un suo ruolo nella pianificazione strategica, prima dell'utilizzo dello scudo, e nella gestione delle relative strutture situate sul proprio territorio. "La questione - aveva detto Erdogan alla stampa - è chi avrà il comando e dovrebbe spettare a noi, soprattutto se è un piano che va attuato nei nostri confini, altrimenti non ci sarà possibile accettarlo". Sembra una cosa da poco ma geopoliticamente vale molto e certifica la trasformazione del brutto anatroccolo in un cigno: il membro dell'Alleanza che un tempo portava in dote la sua posizione strategica, adesso è un attore che ha una propria capacità di manovra, un proprio spazio vitale che prescinde dalla Nato. Negli ultimi anni, il governo turco si è avvicinato molto a quello iraniano, fungendo da mediatore e garante con la comunità internazionale, per la questione nucleare; ma Ankara è legata a Teheran dagli enormi interessi che riguardano la partita energetica, con la Turchia che è il principale consumatore del gas iraniano.

Una crescente indipendenza. Lo scorso luglio, al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, fu proprio Ankara ad opporsi ad un inasprimento delle sanzioni contro l'Iran, sospettato dagli Stati Uniti ma non solo di lavorare ad un progetto nucleare con scopi militari. Una minaccia, quella dell'atomica degli ayatollah, contro la quale era stato progettato un sistema difensivo che prevedeva l'integrazione delle strutture dei vari Paesi dell'Alleanza in un quadro di difesa integrato, con radar e missili intercettori montati in Polonia, Romania e Turchia appunto, la quale non vuole che lo scudo missilistico sia presentato al mondo come un'arma in funzione anti-iraniana. E' una questione di interessi economici, geopolitici ma anche di sicurezza nazionale: la leadership turca sa cosa potrebbe accadere se gli Stati Uniti o Israele arrivassero ad uno scontro armato con l'Iran, con cui divide i confini orientali, quindi si è mossa per disinnescare la bomba. Ad un congelamento dei rapporti con Gerusalemme, Ankara ha accompagnato segni di distensione e normalizzazione nei confronti di due Paesi del cosiddetto "asse del male", Iran e Siria. Non è un caso che nel documento strategico sulla sicurezza nazionale, detto libro rosso, diffuso ad ottobre dall'esercito turco, questi ultimi due stati sono stati eliminati dalla lista delle potenziali fonti di pericolo. Israele, invece, vi figura ancora.

Prima veniamo noi, poi la Nato. Gli analisti aspettavano Ankara al varco, dopo il "tradimento" del voto pro-Iran al Consiglio di Sicurezza: adesso dovrà dimostrare di essere ancora un partner fedele e affidabile, hanno detto in molti nei giorni a ridosso del vertice. Ma la Turchia non si è presentata per fare un atto di contrizione, tutt'altro. La difficoltà principale stava nel far passare il messaggio che se l'Iran dovesse dimostrarsi un pericolo, non sarà il governo turco a frenare una politica di containment. Ma al momento non lo è. Lo dicono sondaggi recentissimi, secondo i quali per i turchi un Iran dotato di armi nucleari non costituirebbe comunque una minaccia, non evidente come quella terroristica. "La Turchia prende le sue decisioni in primo luogo guardando al suo interesse nazionale e solo dopo alla solidarietà dell'Alleanza", ha detto senza mezzi termini il presidente turco Abdullah Gul. Non c'è molto da dire. Questa chiarezza spiega perché Washington e gli altri alleati si siano dovuti rassegnare a eliminare qualsiasi riferimento all'Iran e a far entrare la Turchia nella stanza dei bottoni, quella in cui le linee strategiche vengono definite. Gli elementi di dettaglio, come quelli riguardanti il comando, il controllo e il posizionamento degli elementi del sistema difensivo, verranno decisi più avanti. Al momento si sa che ai governi alleati sarà chiesto uno sforzo di circa 200 milioni di euro, da qui ai prossimi dieci anni, per integrare i propri sistemi missilistici nel quadro dello scudo americano.

Alberto Tundo

mardi, 30 novembre 2010

Summit di Lisbona: la NATO si proclama forza militare globale

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SUMMIT DI LISBONA: LA NATO SI PROCLAMA FORZA MILITARE GLOBALE


DI RICK ROZOFF
rickrozoff.wordpress.com

Ex: http://www.comedonchisciotte.org/

Dal vertice recentemente concluso della NATO (North Atlantic Treaty Organization) in Portogallo Washington ha ottenuto tutto quello che chiedeva ai suoi 27 alleati della Nato -almeno 20 partner della NATO che forniscono truppe per la guerra in Afghanistan- all'UE e alla Russia.

L'Alleanza Atlantica controllata dagli USA ha approvato senza riserve e anche senza delibere il piano americano che prevede di includere tutta l'Europa nel sistema missilistico di intercettazione mondiale del Pentagono e della sua Missile Defense Agency (MDA). La dichiarazione del vertice afferma: "La NATO manterrà una giusta combinazione di forze di difesa convenzionali, nucleari, e missilistiche. La difesa missilistica diventerà parte integrante della nostra posizione di difesa globale.". [1]

Nell'adottare il suo nuovo Concetto Strategico ha anche autorizzato un’analoga operazione di guerra informatica su scala continentale in combinazione con il nuovo USA Cyber Command del Pentagono -e per tutti gli scopi pratici sotto la sua direzione.



Ha inoltre ribadito l’impegno della coalizione sull’articolo 5 per rendere l'assistenza militare collettiva a ogni Stato membro sotto ipotetico attacco e esteso il concetto di attacco per includere categorie non-militari come computer, energia e minacce terroristiche. Il Concetto Strategico "riconferma il legame tra le nostre nazioni per difendere l’un l'altra contro l'attacco, anche contro nuove minacce alla sicurezza dei nostri cittadini". [2]

"I membri della NATO presteranno sempre reciproca assistenza contro un attacco, a norma dell'articolo 5 del Trattato di Washington. Tale impegno rimane fermo e vincolante. La NATO scoraggerà ogni minaccia di aggressione e difenderà da essa e dai problemi emergenti dove si minaccino la sicurezza fondamentale dei singoli alleati o l'Alleanza nel suo complesso".

Sia pure in mancanza di minacce militari convenzionali -come pure di quelle nucleari-, ovvero anche senza rischi di carattere militare nei riguardi dei membri della NATO nordamericani ed europei, altri pericoli –se pianificati- serviranno come base per l'attivazione dell'articolo 5. Essi includono attacchi o minacce alle reti di computer:

" Cyber-attacchi ... possono raggiungere una soglia tale da minacciare la prosperità nazionale ed euro-atlantica, la sicurezza e la stabilità", afferma la NATO, per cui i suoi membri sono obbligati a "sviluppare ulteriormente la capacità di prevenzione, individuazione, difesa e recupero dai cyber- attacchi, anche mediante l'uso del processo di pianificazione della NATO di rafforzare e coordinare le capacità nazionali di cyber-difesa, portando tutti gli organismi della NATO sotto cyber-protezione centralizzata .... "

"Dipendenza" europea dal petrolio e dal gas naturale russo e il controllo delle vie marittime strategiche e rotte commerciali:

"Alcuni paesi della NATO diventeranno più dipendenti dai fornitori esteri di energia e, in alcuni casi, dalla fornitura estera di energia e di reti di distribuzione per il loro fabbisogno energetico. Dato che una quota sempre maggiore del consumo mondiale è trasportato in tutto il mondo, le forniture di energia sono sempre più a rischio di perturbazione".

E diverse altre questioni neanche lontanamente connesse a faccende militari [3]:

"Vincoli vitali ambientali e delle risorse, tra cui rischi per la salute, il cambiamento climatico, scarsità d'acqua e il fabbisogno energetico crescente condizioneranno ulteriormente il futuro contesto di sicurezza nelle aree di interesse per la NATO e avranno il potenziale per incidere in misura significativa nella pianificazione e nelle operazioni della NATO".

La NATO ha anche ribadito il suo impegno a mantenere armi nucleari tattiche americane in Europa, con il Concetto strategico che dichaira: "finché ci sono armi nucleari nel mondo, la NATO rimarrà una alleanza nucleare".

E l'alleanza si è allineata con il cambiamento della Casa Bianca e il Pentagono da un impegno precedente per il "taglio" delle truppe Usa e Nato in Afghanistan a partire dall'anno prossimo per quello che Washington ha di recente definito un progetto "provvisorio" e "aspirazionale", di una strategia "transitoria" che potrebbe vedere forze militari occidentali ancora sulla scena della nazione asiatica 15 o più anni dopo il loro arrivo. La dichiarazione del vertice di Lisbona afferma: "La transizione sarà basata sullo stato di fatto, non fissata da un calendario, e non equivale al ritiro delle truppe ISAF".

Non c'è nessuna nazione o gruppo di nazioni che ponga alla NATO una sfida seria, nessuno costituisce una minaccia per l’unico blocco militare del mondo, e quasi nessuno ancora si frappone alla sua espansione globale. "Tuttavia, nessuno dovrebbe dubitare della determinazione della NATO se la sicurezza di uno dei suoi membri dovesse essere minacciata... La dissuasione, basata su un adeguato mix di capacità nucleari e convenzionali, resta un elemento centrale della nostra strategia globale .... Finché esistono armi nucleare, la NATO rimarrà una alleanza nucleare".

"La garanzia suprema della sicurezza degli alleati è fornita dalle forze nucleari strategiche dell'alleanza, in particolare quelle degli Stati Uniti; le forze strategiche nucleari indipendenti del Regno Unito e della Francia, che hanno un loro ruolo di dissuasione, contribuiscono alla deterrenza complessiva e alla sicurezza degli alleati».

Formalizzando i cambiamenti internazionali degli ultimi undici anni -in Europa, Asia, Africa e nel Mare Arabico– il nuovo Concetto Strategico della NATO obbliga tutti gli stati membri e decine di partner a “sviluppare e mantenere forze convenzionali robuste, mobili e dispiegabili per svolgere sia i compiti dovuti dall’articolo 5 che le operazioni delle spedizioni dell'alleanza, comprese nella NATO Response Force", e "garantire la più ampia partecipazione possibile degli alleati alla pianificazione della difesa collettiva in ruoli nucleari, nella costruzione del tempo di pace delle forze nucleari".

Invocando il semi-sconosciuto slogan che dal 1989 è stato impiegato nell’anticipazione e poi nella realizzazione dei progetti per subordinare tutta l'Europa sotto il comando militare della NATO [4], i capi di stato dell’alleanza a Lisbona la settimana scorsa hanno anche approvato il completamento dei piani di espansione che interessano i Balcani e l'ex Unione Sovietica:

"Il nostro obiettivo di un'Europa libera e integra e della condivisione di valori comuni, sarebbe meglio servito dalla eventuale integrazione nelle strutture euro-atlantiche di tutti i paesi europei che lo desiderano.

"La porta per l'adesione alla NATO rimane completamente aperta a tutte le democrazie europee che condividono i valori della nostra alleanza, che sono disposti e in grado di assumersi le responsabilità e gli obblighi di adesione, e la cui inclusione possa contribuire alla sicurezza comune e alla stabilità".


In particolare, la NATO "continuerà a sviluppare l’associazione con l'Ucraina e la Georgia nelle Commissioni NATO-Ucraina e NATO-Georgia, sulla base della decisione della Nato al summit di Bucarest del 2008" e "favorire l'integrazione euro-atlantica dei Balcani occidentali". Una menzione particolare è stata fatta riguardo la Bosnia, la Macedonia, il Montenegro e la Serbia.

La Commissione NATO-Georgia è stata istituita nel settembre del 2008, il mese dopo la guerra dei cinque giorni tra la Georgia e la Russia, che fu iniziata dal governo di Mikhail Saakashvili a Tbilisi, una settimana dopo che 1000 soldati Usa completarono l’esercitazione militare Immediate Response 2008 NATO Partnership for Peace, mentre le truppe e le attrezzature americane erano ancora in Georgia.

La decisione del vertice di Bucarest su un'eventuale adesione piena della Georgia e dell'Ucraina nella NATO e la creazione della Commissione NATO-Georgia ha dato luogo ad un Annual National Program per accelerare l'integrazione della Georgia nella NATO. Il percorso tradizionale di adesione, un Membership Action Plan (MAP), non è stato presentato alla Georgia nel 2008 a causa di due disposizioni NATO: una è quella per cui gli Stati membri non possono essere coinvolti in persistenti dispute territoriali (per questo motivo, per esempio, a Cipro non sarebbe stata data un MAP se fosse stata sul punto di aderire al Partenariato per la Pace) e l’altra che non ci possono essere forze militari straniere -vale a dire non-NATO- sul suolo di un potenziale socio.

Il governo georgiano rivendica le ormai indipendenti nazioni di Abkhazia e Ossezia del Sud come proprie e due anni fa ci sono stati piccoli contingenti di peacekeepers russi in entrambi i paesi. La Commissione NATO-Georgia e NATO e l’Annual National Program della NATO -un veicolo unico per integrare Georgia (e Ucraina) nella NATO bypassando i vincoli di cui sopra di un MAP - sono completati dalla Carta per il Partenariato Strategico (Charter on Strategic Partnership) Stati Uniti-Georgia la quale fu annunciata poco dopo la guerra del 2008 e firmata il 9 gennaio 2009. (La consimile Carta per il Partenariato Strategico Stati Uniti-Ucraina è stata firmata tra il segretario di Stato Condoleezza Rice e il ministro degli Esteri ucraino Volodymyr Ogryzko il 19 dicembre 2008).

La tesi di molti osservatori, compreso chi scrive, è che l'attacco georgiano in Ossezia del Sud il 7 agosto 2008 sarebbe stato, in caso di successo, immediatamente seguito da uno in Abkhazia, eliminando in tal modo gli ostacoli di cui sopra al pieno sviluppo della NATO nel Caucaso meridionale.

Il Parlamento della NATO, nella sessione autunnale dell'Assemblea in Polonia, il 12-16 novembre ha approvato una risoluzione che chiama l'Abkhazia e l'Ossezia del Sud "territori occupati", che ha portato il Ministero degli Esteri dell'Abkhazia a rispondere:

"La NATO è un'organizzazione che ha contribuito alla militarizzazione intensiva della Georgia per molti anni, fomentando la mentalità revanscista della leadership georgiana, che ha portato nell’agosto 2008 a spargimenti di sangue in Ossezia del Sud". [5]

Il presidente Barack Obama ha tenuto un colloquio col georgiano Saakashvili, a margine del vertice di Lisbona il 19 novembre.

I piani della NATO per una penetrazione più a est e a sud di ciò che molta gente pensa che sia l'Europa non sono limitati al Caucaso.

Il vertice di Lisbona, approvando la nuova dottrina della coalizione, ha anche affermato per la prima volta senza mezzi termini che la portata della NATO è tanto ampia quanto il mondo stesso:

"La promozione della sicurezza euro-atlantica è meglio garantita attraverso una vasta rete di relazioni con i paesi partner e organizzazioni in tutto il mondo".

Il presidente Obama e gli altri 27 capi di Stato della NATO hanno approvato il nuovo Concetto Strategico, che inoltre afferma:

"Siamo fermamente impegnati nello sviluppo di relazioni amichevoli e di cooperazione con tutti i paesi del Mediterraneo, e abbiamo intenzione di sviluppare ulteriormente il Mediterranean Dialogue nei prossimi anni. Attribuiamo grande importanza alla pace e alla stabilità nella regione del Golfo, e intendiamo rafforzare la nostra cooperazione nella Istanbul Cooperation Initiative".

Il Mediterranean Dialogue comprende la NATO e sette paesi in Africa e in Medio Oriente: Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia.

La Istanbul Cooperation Initiative del 2004 [6], mira al potenziamento delle partnership del Mediterranean Dialogue al livello di quelle del programma NATO "Partenariato per la Pace, che ha preparato 12 nazioni in Europa orientale per la piena adesione a partire dal 1999: Albania, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca , Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia.

Viene anche consolidato il legame con i sei membri del Gulf Cooperation Council - Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti - in qualità di partner militari della NATO. Giordania ed Emirati Arabi Uniti sono paesi contributori ufficiali di truppe (Troop Contributing Nations –TCN) per la International Security Assistance Force in Afghanistan della NATO, come sono membri del Partenariato per la Pace della Georgia e dell'Ucraina nell’ex spazio sovietico e in Bosnia, Macedonia e Montenegro nei Balcani.

Lo scorso fine settimana la NATO ha promesso di "approfondire la cooperazione con gli attuali membri del Mediterranean Dialogue e di essere aperta all’inclusione in esso di altri Paesi della regione" e di "sviluppare un più profondo partenariato per la sicurezza con i nostri partner del Golfo e di rimanere pronti ad accogliere nuovi partner nella Istanbul Cooperation Initiative". Cioè, includere tutto il Medio Oriente e l'Africa settentrionale nella sua più ampia connnessione militare con un occhio alle nazioni come l'Iraq [7], Libano, Palestina, Yemen, Libia, Somalia, Gibuti, Etiopia, Senegal, Mali, Niger, Ciad e anche il Kenya.

La dichiarazione del summit ha confermato la prosecuzione dell'Operazione Active Endeavour, "l’operazione marittima nel Mediterraneo per il nostro articolo 5", l’operazione Ocean Shield al largo del Corno d'Africa, il trasporto aereo di di truppe ugandesi in Somalia per i combattimenti e il sostegno alla Forza africana in attesa e la Training Mission NATO in Iraq.

Oltre ai dettagli dei piani di espansione in Europa, Asia e Africa una dopo l’altra, la NATO ha annunciato che ora è una formazione politico-militare internazionale. La dichiarazione del vertice ha espresso "profonda gratitudine per la dedizione, la professionalità e il coraggio dei più di 143.000 uomini e donne provenienti da paesi alleati e partner, che vengono dispiegati nelle operazioni e le missioni della NATO".

La sua nuova dottrina afferma anche: "unica nella storia, la NATO è un’alleanza di sicurezza che mette in campo forze militari in grado di operare insieme in qualsiasi ambiente; capace di controllare operazioni dovunque attraverso la sua struttura di comando militarmente integrata...."

La NATO Response Force (NRF) della coalizione "fornisce un meccanismo per generare una elevata prontezza e un pacchetto di forze tecnologicamente avanzate costituito da elementi di terra, aria, mare e delle forze speciali che può essere schierato rapidamente in operazioni ovunque sia necessario." [8]

La NRF è stata proposta dall'allora Segretario alla Difesa Usa Donald Rumsfeld, nel settembre del 2002 e formalizzato in occasione del vertice NATO di Praga nel novembre dello stesso anno. Essa ha effettuato la sua prima esercitazione a fuoco, la Steadfast Jaguar su grande scala del 2006, nella nazione dell'Africa occidentale dell'isola di Capo Verde. Alla fine dell'anno fu affermato che essa aveva piena capacità operativa formata da un massimo di 25.000 uomini "fatto di componenti di terra, aria, mare e delle forze speciali... in grado di svolgere missioni in tutto il mondo attraverso l'intero spettro delle operazioni." [9]

Alludendo in parte alla NRF, il nuovo Strategic Concept dichiara:

"Dove la prevenzione dei conflitti non abbia esito, la NATO sarà preparata e in grado di gestire le ostilità in corso. La NATO ha capacità uniche di gestione dei conflitti, compresa la facoltà senza pari di implementare e sostenere vigorose forze militari in campo".

Essa impegna inoltre i Paesi membri a "sviluppare ulteriormente la dottrina e le capacità militari per organizzare gli interventi, tra cui quelli per anti-insurrezione, stabilizzazione e ricostruzione".

A Lisbona, Obama ed i suoi colleghi capi di Stato hanno convenuto che:

"Noi, i leader politici della NATO, siamo determinati a continuare il rinnovamento della nostra alleanza in modo che sia adatta allo scopo di affrontare le sfide alla sicurezza del 21° secolo. Siamo fermamente impegnati a conservare la sua efficacia come l’alleanza politico-militare di maggior successo del mondo".

L’unica coalizione militare mondiale non protegge l'Europa da minacce chimeriche nucleari e missilistiche o dalle questioni che sono meglio affrontate dai rispettivi membri della sua magistratura, dalle forze di sicurezza interna ed ambientali,dai ministeri e dipartimenti dell'immigrazione, dell'energia, della salute pubblica e dalle unità di crisi.

Impiega piuttosto il continente europeo come una base operativa per le campagne e gli dispiegamenti militari ovunque altrove.

Tale ruolo è stato consolidato con l'integrazione militare di Stati Uniti, NATO e Unione europea [10]. Il 19 novembre il presidente della Consiglio europeo della UE, Herman Van Rompuy, si è rivolto ai leader della NATO a Lisbona e ha detto "la capacità delle nostre due organizzazioni per plasmare le nostre future condizioni di sicurezza sarebbe enorme se lavorassero insieme. È ora di abbattere le pareti restanti tra loro". [11]

La nuova dottrina della NATO del 21° secolo, afferma:

"L’Unione europea è un partner unico ed essenziale per la NATO. Le due organizzazioni condividono la maggioranza dei soci, e tutti i membri di entrambe le organizzazioni condividono valori comuni. La NATO riconosce l'importanza di una difesa europea più forte e più capace. Accogliamo con favore le entrata in vigore del trattato di Lisbona, che fornisce un quadro per rafforzare le capacità dell'UE di affrontare le sfide comuni.

"Alleati non comunitari rappresentano un significativo contributo a tali sforzi. Per il partenariato strategico tra la NATO e l'UE, il loro pieno coinvolgimento in queste iniziative è essenziale. La NATO e l'UE possono e devono giocare ruoli di rafforzamento in modo complementare e reciproco".


La NATO ha anche acquisito un nuovo partner in Eurasia, uno con il territorio più grande del mondo, che si estende dal Baltico e il Mar Nero fino al Pacifico: la Russia. Il soggetto di un altro articolo.

Rick Rozoff
Fonte: http://rickrozoff.wordpress.com
Link: http://rickrozoff.wordpress.com/2010/11/22/lisbon-summit-nato-proclaims-itself-global-military-force/
22.11.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cuar di ETTORE MARIO BERNI

1) North Atlantic Treaty Organization Lisbon Summit Declaration http://www.nato.int/cps/en/natolive/official_texts_68828.htm?mode=pressrelease

2) Strategic Concept For the Defence and Security of The Members of the North Atlantic Treaty Organisation http://www.nato.int/lisbon2010/strategic-concept-2010-eng.pdf

3) Thousand Deadly Threats: Third Millennium NATO, Western Businesses Collude On New Global Doctrine Stop NATO, October 2, 2009 http://rickrozoff.wordpress.com/2009/10/02/thousand-deadly-threats-third-millennium-nato-western-businesses-collude-on-new-global-doctrine

4) Berlin Wall: From Europe Whole And Free To New World Order Stop NATO, November 9, 2009 http://rickrozoff.wordpress.com/2009/11/09/berlin-wall-from-europe-whole-and-free-to-new-world-order

5) Russian Information Agency Novosti, November 18, 2010

6) NATO In Persian Gulf: From Third World War To Istanbul Stop NATO, February 6, 2009 http://rickrozoff.wordpress.com/2009/08/26/nato-in-persian-gulf-from-third-world-war-to-istanbul

7) Iraq: NATO Assists In Building New Middle East Proxy Army Stop NATO, August 13, 2010 http://rickrozoff.wordpress.com/2010/08/14/iraq-nato-assists-in-building-new-middle-east-proxy-army

8) North Atlantic Treaty Organization Allied Command Operations http://www.aco.nato.int/page349011837.aspx

9) North Atlantic Treaty Organization The NATO Response Force http://www.nato.int/cps/en/natolive/topics_49755.htm

10) EU, NATO, US: 21st Century Alliance For Global Domination Stop NATO, February 19, 2009 http://rickrozoff.wordpress.com/2009/08/26/eu-nato-us-21st-century-alliance-for-global-domination

11) EUobserver, November 21, 2010

mardi, 02 février 2010

Nato-Ue: le nuove strategie degli Usa

Nato-Ue: le nuove strategie degli Usa

La Clinton e la Albright sostengono che l’Europa e l’Alleanza Atlantica devono rafforzare la collaborazione

Andrea Perrone

clintonsarkozy.jpgLa Nato chiede all’Unione europea una più stretta collaborazione militare nell’ambito di una nuova visione strategica per il XXI secolo.
A promuovere l’operazione sono stati l’attuale segretario di Stato americano, Hillary Rodham Clinton (nella foto con Sarkozy), e la sua omologa - ormai ex - Madeleine Albright, che ora guida il gruppo di saggi dell’Alleanza Atlantica. La Clinton, giunta venerdì a Parigi, ha incontrato il capo dell’Eliseo Nicolas Sarkozy, il suo consigliere alla sicurezza nazionale, Jean-David Levitte e il ministro degli Esteri Bernard Kouchner, a un anno dal rientro del Paese nel Consiglio militare integrato della Nato, per discutere come verrà presieduto dalla Francia, a partire dal prossimo 1 febbraio, il Consiglio di sicurezza dell’Onu. Per l’occasione il segretario Usa ha pronunciato un discorso all’École Militaire di Parigi sul concetto di sicurezza europea considerato un pilastro per la politica estera degli Stati Uniti. Il segretario Usa ha così riconfermato “l’impegno di Washington a lavorare con gli alleati della Nato e con la Russia per rafforzare la sicurezza dinanzi alle nuove minacce emerse nel 21mo secolo, dal terrorismo ai cyberattacchi fino alle catastrofi naturali”. Nel corso del suo intervento poi la Clinton ha cercato di indorare la pillola affermando che gli Usa sono “impegnati a esplorare i modi in cui la Nato e la Russia possono migliorare la loro partnership, dandoci migliori assicurazioni l’un l’altro sulle nostre rispettive azioni ed intenzioni”. A un certo punto però ha toccato le note dolenti dei rapporti Washington-Mosca, ovvero l’allargamento della Nato e i progetti per lo scudo antimissile. E ha attaccato la politica estera russa affermando che gli Usa si oppongono “a qualsiasi sfera di influenza in Europa” facendo riferimento alla guerra russo-georgiana dell’agosto 2008. A suo dire invece “la Nato e l’Ue hanno aumentato la sicurezza, la stabilità e la prosperità nel continente” e che questo ha accresciuto la sicurezza della Russia. Infine, la Clinton ha superato ogni limite affermando che il dispiegamento di uno scudo antimissile renderà l’Europa un posto più sicuro e questa sicurezza potrebbe estendersi alla Russia, se Mosca deciderà di cooperare con Washington. Un’ipotesi poco probabile visto che lo scudo verrà dislocato soltanto per alzare la tensione e contenere la Russia.
La Albright (72 anni) ha incontrato invece a Bruxelles gli europarlamentari e in quel contesto è stata più esplicita sottolineando la necessità “di massimizzare la collaborazione con l’Ue e fare maggior uso della consultazione politica”.
L’ex segretario di Stato Usa si è occupato di politica estera negli anni 1997-2001, quando la Nato ha lanciato la sua prima azione militare nella ex Jugoslavia, mantenendo stretti rapporti con gli albanesi più estremisti. La Albright è stata nominata lo scorso anno a presiedere un comitato di 12 esperti incaricato di consigliare il segretario generale della Nato, Anders Fogh Ramussen, su una versione aggiornata di “concetto strategico” per l’alleanza militare con la pubblicazione anche di un documento.
La strategia dell’ex segretario ha posto l’accento sulle nuove minacce alla sicurezza che vanno dagli attacchi cibernetici al terrorismo fino ai problemi riguardanti la sicurezza energetica, con un accento particolare al modo in cui l’Alleanza Atlantica dovrebbe saper rispondere. Per la Albright la soluzione ai problemi non dovrebbe essere l’autocompiacimento che, a suo dire, costituisce una grave minaccia, ma la fedeltà al principio fondatore della Nato - la difesa militare dei suoi membri da un attacco armato (art. 5) - dovrebbe rimanere il fulcro dell’organizzazione. Ora che gli Stati membri sono diventati 28 la necessità sarà quella di tener conto delle nuove minacce e in virtù dell’espansione dell’Ue, della riduzione dei bilanci è - secondo la Albright - necessario evitare di dividere o duplicare le attività della Nato e dell’Unione europea. A questo punto il responsabile del team di esperti ha lanciato i suoi strali contro la Russia affermando che è solo un partner della Nato e non ha lezioni da dare. Dal canto suo il servizio stampa dell’Assemblea di Strasburgo ha riportato testualmente le parole dell’ex segretario che ha dichiarato: “La Russia è un partner tra i tanti, e non sarà a lei a insegnare a una vecchia scimmia a fare le smorfie”.
Proseguendo nel suo intervento l’ex segretario americano ha ricordato che il team di esperti da lei guidato sta proseguendo il suo lavoro per elaborare un documento sulla strategia della Nato per il XXI secolo, che sarà pronto prima del vertice di Lisbona del novembre prossimo, quando dovrà essere adottato da tutti i membri dell’Alleanza Atlantica.


30 Gennaio 2010 12:00:00 - http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=554

mercredi, 18 mars 2009

Qu'est-ce que l'OTAN?

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Qu'est-ce que l'OTAN ?
Ex: http://unitepopulaire.org/

A l’heure où le gouvernement de nos voisins français vient (une fois de plus) de renier son héritage gaulliste en réintégrant l’OTAN, il n’est pas inutile de se demander ce qu’est, en dernière analyse, cette sulfureuse Organisation du Traité de l’Atlantique Nord…

« L’Organisation du Traité de l’Atlantique Nord (OTAN) n’est qu’un reliquat de la guerre froide ayant été créé le 4 avril 1949 afin de consacrer l’alliance défensive des pays de l’Ouest européen, des Etats-Unis et du Canada face à l’URSS et à ses satellites européens. Depuis 1991 et la dislocation de l’Empire soviétique, la Russie entretient des relations économiques assez intensifiées avec cette même Europe de l’Ouest en lui fournissant gaz, pétrole et autres matières premières. Cette coopération économique a créé un nouvel espace européen car elle a rapproché – au moins au niveau des échanges commerciaux et des flux financiers – ces divers partenaires européens (Russie d’une part, Europe de l’Ouest d’autre part) qui sont à présent devenus interdépendants. En dépit de cette intensification des relations ne justifiant plus un tel "club" comme l’OTAN associant une puissance non européenne (les Etats-Unis) dont la vocation est d’opposer un front commun à un autre Etat européen (la Russie), l’OTAN est de fait instrumentalisée par une administration américaine dont l’objectif est de maintenir le "protectorat" européen sous influence afin de conserver un des derniers attributs de son hyper puissance.

De fait, l’OTAN semble être un outil idéal à la disposition de la politique étrangère américaine. Effectivement, à présent que l’ONU accumule les échecs retentissants dans ce qui devrait être son rôle de maintien de la paix dans le monde, l’OTAN leur offre ainsi opportunément une plate-forme "légale" à même de justifier tous types d’opérations militaires à travers le globe. De surcroît, l’OTAN est un instrument nettement plus flexible que l’ONU, ce "grand machin" où il faut en permanence passer des compromis même si l’on dispose comme les Etats-Unis du droit de veto... La logique est donc simple et compréhensible : réorienter la mission de l’OTAN tout en l’élargissant afin que cet instrument flexible serve au mieux les intérêts de la politique étrangère américaine. […]

McCain, mais également Obama se révèlent être d’ardents défenseurs d’un interventionnisme militaire américain hors de leurs frontières. Ne sont-ils pas en matière de politique étrangère tous deux conseillés par des spécialistes étiquetés "néo-cons"... ? Ainsi, John McCain prône-t-il une "Ligue des démocraties", concept "néo-con" pur jus visant à amoindrir encore plus et de facto l’ONU afin de placer les Etats-Unis au centre d’une nouvelle alliance où ils règneraient quasiment sans partage. Quant au démocrate, ne soutient-il pas des actions militaires multilatérales hors de son pays et intervenant dans des conflits régionaux, pour "raisons humanitaires", même s’il faudra pour cela se passer de l’aval des Nations unies ? […] Lord Ismay, premier secrétaire général de l’OTAN avait déclaré, il y a près de soixante ans, que l’objectif de son organisation était de "maintenir les Russes à l’extérieur et les Américains à l’intérieur". Il semble qu’en dépit des bouleversements majeurs survenus depuis cette période, certains n’aient rien appris. »

 Michel Santi (Genève), "L’OTAN, Instrument des Etats-Unis", Agoravox, 2 septembre 2008 

jeudi, 12 mars 2009

La fin de la singularité française dans l'OTAN

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La fin de la singularité française dans l'Otan

La France doit-elle reprendre « toute sa place » dans l'Otan en retournant dans son commandement intégré, qu'elle avait quitté en 1966 ? Ou doit-elle conserver sa position actuelle, présente dans l'organisation, militairement engagée dans des opérations au Kosovo et en Afghanistan sous drapeau otanien mais sans participer à ses organes de commandement pour maintenir son autonomie de décision ? Le débat fait - du moins en apparence - rage dans la classe politique française. Dans quelques semaines, le sommet de Strasbourg et Kehl des 3 et 4 avril prochain, doit en principe célébrer le soixantième anniversaire de l'organisation qui, paradoxalement, a survécu au décès du Pacte de Varsovie et l'annonce du retour complet de l'enfant terrible français au sein de sa « famille » euro-atlantique.

Ce dernier geste, très attendu aussi bien à Washington qu'à Berlin, est pourtant, en grande partie, symbolique. Certes, la France pourrait obtenir deux commandements : l'un basé à Norfolk en Virginie (Etats-Unis) chargé de la conduite des transformations de l'alliance, et un autre à Lisbonne, qui accueille le QG de la force de réaction rapide (Nato Response Force, ou NRF). Le dossier n'est cependant pas totalement bouclé, car ce retour signifie une très forte augmentation du nombre d'officiers français à l'Otan et, donc, d'une réduction concomitante des contingents britannique et allemand. Et l'assentiment des 25 autres alliés. Si tous les feux verts sont obtenus, cette montée en puissance pourrait s'étaler sur trois à quatre ans.

Mais au-delà de caractéristiques techniques, ce retour scelle avant tout, symboliquement, le dernier maillon d'un rapprochement avec l'Amérique et la communauté atlantique, amorcé par Jacques Chirac. Car depuis 1995 la France, et cela en dépit de la violente controverse sur l'Irak avec George W. Bush, a déjà fait une grande partie du chemin en acceptant de participer à des missions militaires et en devenant l'un des principaux contributeurs de forces, notamment au sein de la NRF. Au lendemain des attaques terroristes du 11 septembre 2001, la France n'avait d'ailleurs pas hésité à se ranger du côté de tous les alliés pour évoquer la clause de solidarité collective avec les Etats-Unis, selon laquelle une attaque contre l'un des membres est une attaque contre tous.

Mais ce sont souvent les symboles qui sont le plus sujets à polémique, surtout lorsqu'ils touchent à des concepts comme l'indépendance de la politique étrangère de la France et sa souveraineté. Des concepts qui étaient d'ailleurs au coeur de la décision du général de Gaulle dans sa lettre du 7 mars 1966 au président américain Lyndon Johnson. Pour la France, il s'agissait alors « de recouvrer sur son territoire l'entier exercice de sa souveraineté, actuellement entamée par la présence permanente d'éléments militaires alliés ». Ce qui avait conduit notamment à l'évacuation des états-majors de l'Otan de Versailles et Fontainebleau un an après. Mais Paris avait d'autres soucis : conserver toute son autonomie de décision sur la force de frappe nucléaire six ans après la première explosion d'une bombe atomique française et refuser de suivre les Etats-Unis dans toutes leurs aventures militaires à l'étranger. Cela au moment même où ils s'engageaient lourdement dans la guerre du Vietnam.

Aujourd'hui, le contexte a profondément changé. D'une part, le monde n'est plus divisé en deux blocs. C'est d'ailleurs aussi pour se placer en dehors de cette politique de blocs et à un moment où s'amorçait une certaine détente que le général de Gaulle avait choisi de se retirer du commandement intégré, lui ouvrant ainsi la voie à un dialogue avec l'URSS et la Chine. La fin de la Guerre froide - et en dépit des nouvelles tensions avec la Russie - a une autre conséquence : celle d'avoir mis un terme à l'équilibre de la terreur entre les deux blocs par le feu nucléaire. Ce qui réduit évidemment la portée de la question de l'autonomie de la force de frappe nucléaire française vis-à-vis de l'Amérique.

Pourtant, il ne faut pas se faire d'illusions. Le retour total dans l'Otan de la France soulève au moins deux autres interrogations : quid de l'Europe de la défense ? Certes, tout est fait pour expliquer que les Américains reconnaissent enfin cette dimension européenne, mais elle restera un élément complémentaire de l'organisation atlantique, et non « autonome ». L'autre question est très simple. Le président Barack Obama ne peut que se féliciter du choix de Nicolas Sarkozy, car ce qu'il souhaite aujourd'hui le plus de la France comme de tous ses alliés, c'est l'envoi de troupes supplémentaires de leur part en Afghanistan. Il s'agit de savoir si alors Paris pourra lui dire « non ». Le mur de Berlin est tombé. La singularité française est en train de suivre. Mais jusqu'à quel point ?

Jacques HUBERT-RODIER

Source : LES ECHOS

mardi, 10 mars 2009

P. Quilès: le retour de la France dans le commandement militaire intégré de l'OTAN est inutile et dangereux

Paul Quilès : Le retour de la France dans le commandement militaire intégré de l'OTAN est inutile et dangereux

quilès2.jpgLe 7 mars 1966, le général de Gaulle retirait la France du commandement militaire intégré de l'OTAN, c'est-à-dire des comités et des groupes où prenait corps l'intégration des forces armées des pays de l'Alliance atlantique. Les forces françaises étaient déliées des contraintes de la planification militaire commune et n'avaient plus à occuper des positions prédéterminées dans le dispositif de défense allié. Notre pays restait cependant tenu par les obligations de l'article 5 prévoyant une clause d'assistance mutuelle en cas d'agression.

Durant les années 90, si la France a réintégré le comité militaire, où se réunissent les ministres de la défense des pays membres de l'Alliance, elle est restée à l'écart de trois structures :

- le comité des plans de défense, où s'élabore la planification de défense, c'est à dire les objectifs de forces à atteindre en fonction des missions et des scénarios ;

- le commandement militaire permanent intégré, qui comprend la chaîne de commandement permanente et où s'élabore la planification opérationnelle ;

- le groupe des plans nucléaires, où les pays non‑nucléaires sont informés de la politique nucléaire suivie par les Etats‑Unis et la Grande Bretagne dans le cadre de l'OTAN.

Ce qui est annoncé aujourd'hui, c'est le retour dans ces organisations, à l'exception du groupe des plans nucléaires. Déjà en 1997, J. Chirac avait tenté sans succès cette opération, les Américains refusant de céder à un général français le commandement opérationnel de Naples.

Pour justifier son choix du retour dans le commandement militaire intégré, N. Sarkozy invoque trois arguments :

1- L'influence de la France ne serait pas à la hauteur de son engagement militaire et financier et ce retour lui permettrait de gagner de l'influence, notamment pour transformer et « européaniser » l'Alliance.

Il se trouve que l'influence dans l'Alliance est liée aux capacités militaires et non au statut par rapport au commandement militaire intégré. On l'a vu en 1999, lorsque, au moment du conflit du Kosovo, la France avait plus de poids que l'Allemagne dans les décisions prises par l'Alliance.

Quant au poste de « commandant suprême allié transformation », envisagé pour la France, il peut sembler prestigieux, mais il est dans les faits secondaire. Localisé à Norfolk, en Virginie, actuellement occupé par un général américain, il a pour mission de faire évoluer le dispositif militaire de l'Alliance, pour le rendre apte à des opérations lointaines, mais ce n'est pas un commandement opérationnel. En réalité, ce sont les Etats-Unis qui détiennent l'essentiel de l'expertise et du pouvoir de décision en matière de réorganisation des forces et d'actualisation des doctrines militaires dans l'OTAN, ce qui explique la localisation de ce commandement.

Le commandement opérationnel suprême est détenu par le Saceur, dont personne n'envisage qu'il soit détenu par un autre militaire que le commandant des forces américaines en Europe. Son adjoint, le deputy Saceur, a une mission importante, puisqu'il commande les opérations de l'Europe de la défense, quand l'UE fait appel aux moyens de l'OTAN en activant les accords dits « Berlin plus », mais il est traditionnellement britannique ou allemand, par rotation. En dessous de ces commandements, on trouve celui de Brunssum, également britannique ou allemand, et surtout celui de Naples, traditionnellement dévolu aux Américains, qui conduit les opérations en Méditerranée orientale, c'est à dire en direction du Proche-Orient. C'est celui de Lisbonne, d'importance nettement moindre, qui reviendrait à un Français.

La véritable question n'est pas celle de l'influence dans l'OTAN, mais celle de la capacité d'influencer les Américains pour faire évoluer l'OTAN, ce qu'ils n'ont pas fait depuis 1989, en maintenant une structure très lourde de 15 000 militaires. Quant à espérer influencer le processus de planification de défense, c'est tout simplement illusoire, parce que cette planification est en fait dictée par la doctrine d'emploi de l'armée américaine. L'européanisation de l'Alliance est donc un leurre, à l'image de la politique pratiquée par Tony Blair, qui a échoué, alors que celui-ci pensait influer sur la politique des Américains en étant leur allié le plus fidèle.

2 - le retour dans le commandement intégré serait une condition posée par nos partenaires européens pour faire progresser l'Europe de la défense.

N. Sarkozy a annoncé ce retour de manière implicite lors du « discours aux ambassadeurs » en août 2007. Depuis lors, tous nos partenaires considèrent que la décision est prise et qu'il n'est donc pas nécessaire de faire des concessions à la France pour ce qui concerne la défense européenne.

C'est pour cela que la France n'a pas pu obtenir la création d'un état-major de commandement permanent pour la PESD (politique européenne de sécurité et de défense), à laquelle se sont opposés les Britanniques. Sans cet état-major, la défense européenne n'a pas d'autonomie et dépend de la planification et des moyens collectifs de l'OTAN pour les opérations lourdes. Depuis lors, les Britanniques essaient de pousser l'idée d'une harmonisation des planifications de défense de l'OTAN et de la PESD, ce qui enlèverait toute autonomie et donc tout intérêt au processus de construction de l'Europe de la défense.

Au total, on voit que la perspective de retour de la France dans l'OTAN, loin de renforcer la PESD, l'a affaiblie et peut être même compromise définitivement.

3 - Le retour dans le commandement intégré serait un gage de la réconciliation transatlantique et permettrait à la France d'établir avec les Etats-Unis des relations de meilleure compréhension, dans le respect des intérêts de chacun.

Militairement parlant, ce retour n'a pas d'importance. Quand la France participe à une opération, des officiers français sont intégrés dans les chaînes de commandement opérationnel.

Politiquement parlant, il n'en va pas de même. L'appartenance au commandement intégré introduit une présomption de disponibilité des forces françaises « assignées » à l'OTAN. Pour une mission militaire donnée, la participation française sera supposée acquise et le rôle du contingent français largement prédéterminé. La capacité de la France à infléchir la conduite de la mission -dans une interposition au Proche-Orient, par exemple- serait réduite d'autant. On ne voit pas en quoi cette situation réduirait les « malentendus transatlantiques ».

Symboliquement surtout, l'effet serait considérable. Jusqu'ici, le statut spécifique de la France dans l'OTAN était vu, notamment dans les pays arabes, comme le symbole d'une certaine indépendance de la France par rapport aux Etats-Unis et comme la preuve d'une volonté d'autonomie de la PESD. Cette perte d'image risque donc d'affaiblir la France et l'Europe et de déséquilibrer davantage encore la relation transatlantique.

Faire le pari d'une rupture majeure de la politique étrangère des Etats-Unis, qui laisserait plus d'autonomie à l'Europe et s'engagerait vers un multilatéralisme de compromis, est hasardeux. Rien n'indique que la nouvelle administration américaine ait décidé de renoncer aux privilèges de son « leadership ». Tout en promettant les plus larges consultations au sein de l'Alliance, le Vice-président Biden ne vient‑il pas de déclarer à Munich que « les Etats-Unis agiraient en partenariat chaque fois qu'ils le pourraient, mais seuls quand ils le devraient » ? Quant à la mission de l'OTAN en Afghanistan, s'il paraît aujourd'hui acquis que les Etats-Unis demanderont aux Européens d'y contribuer plus largement, il ne semble pas qu'ils envisagent de les associer davantage aux décisions essentielles. En revenant dans les structures intégrées de l'OTAN, la France ne serait pas dans la meilleure position pour faire prévaloir, conjointement avec ses partenaires européens, les voies d'une solution politique au conflit afghan, si jamais les Etats-Unis espéraient venir à bout de la rébellion en ayant principalement recours à l'action militaire.

La décision de N. Sarkozy est donc dangereuse, parce que porteuse de risques pour la qualité des relations transatlantiques. Elle est de plus inutile, alors même que le statut de la France dans l'OTAN était accepté par les Etats-Unis et ne nuisait en rien à la relation franco‑ américaine.

Paul Quilès

Ministre socialiste de la Défense (1985-1986)

Président de la Commission de la défense nationale et des forces armées de l'Assemblée nationale (1997-2002)

vendredi, 06 mars 2009

Retour dans l'OTAN: Bayrou réclame un référendum

Retour dans l'Otan : Bayrou réclame un référendum

Le président du Modem François Bayrou a déclaré ce dimanche, lors du lancement de sa campagne pour les européennes, que le projet de réintégrer la France dans l'Otan, serait une "défaite" pour la France et l'Europe. Il juge que c'est aux Français de trancher cette question.

BAYROU.jpgFrançois Bayrou, président du Mouvement Démocrate (MoDem), a qualifié dimanche 8 février de "défaite" pour la France et pour l'Europe le projet de réintégration de la France dans le commandement de l'Otan, défendu par Nicolas Sarkozy, jugeant qu'un tel sujet exigeait un référendum.

Tout comme l'ancien premier ministre Dominique de Villepin, François Bayrou se dit opposé au retour de la France dans le commandement de l'Otan. Lors d'une conférence nationale du MoDem à Paris, il a demandé que le choix qui avait été fait en 1966 par le général de Gaulle, de quitter la structure militaire intégrée de l'Alliance atlantique, "ne soit pas bradé, pas jeté aux orties".

Une réintégration serait "un aller sans retour", a-t-il prévenu. "Parce qu'il n'est pas imaginable qu'un grand pays comme le nôtre, à chaque alternance, entre et sorte du commandement intégré".

"Un tel choix, aussi lourd, ne peut pas se faire par les autorités politiques seules, encore moins par le président de la République. Ce choix ne peut se faire que par un référendum du peuple français", a déclaré M. Bayrou, interrogé par la presse à l'issue de la réunion.

"C'est un changement de cap radical, qui porte atteinte au patrimoine historique et diplomatique de la France, et un tel choix ne peut pas se faire en catimini, simplement par entente au sein d'une majorité passagère. Il faut que ce soit une décision majeure du peuple français", a-t-il ajouté.

En réintégrant cette structure, "nous lâchons la proie pour l'ombre", a également déclaré M. Bayrou à la tribune. "En nous alignant, nous abandonnons un élément de notre identité dans le concert des nations, y compris dans le concert des nations européennes".

"C'est une défaite pour la France", et "c'est une défaite pour l'Europe", a-t-il affirmé. "Nous abandonnons une part de notre héritage, et nous l'abandonnons pour rien".

"Quand on est intégrés, on ne compte plus", a assuré le député des Pyrénées-Atlantiques. "On peut être indépendants en étant alliés, on ne peut pas être indépendants en étant intégrés".

L'ex-candidat à la présidentielle s'en est pris également au ministre de la Défense Hervé Morin, qui fut un de ses lieutenants du temps de l'UDF.

"Il a dit : 'il faut arrêter de barguigner'. Et il a ajouté: 'notre position d'indépendance aujourd'hui, elle est purement symbolique'", a cité M. Bayrou. "Innocent !" s'est-il exclamé. "On peut en dire des bêtises, en deux phrases!".

Le président Nicolas Sarkozy a fait un nouveau pas samedi, devant la conférence sur la sécurité de Munich (sud de l'Allemagne), vers un retour complet de Paris dans l'Otan. 

Source : L'EXPRESS

 

mercredi, 11 février 2009

Retour de la France au sein de l'OTAN: Ankara étudie la demande française...

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Retour de la France au sein de l’Otan : Ankara « étudie avec circonspection » la demande française… : "Dans sa décision de réintégrer le dispositif militaire de l’Alliance atlantique, Sarkozy n’avait sans doute pas prévu qu’il devrait recevoir le blanc-seing de la Turquie… Par la voix de son ministre des affaires étrangères, Ali Babacan, le gouvernement turc vient en effet de déclarer qu’il est « toujours en train d’évaluer » la demande française de retour dans le commandement de l’Organisation. « Les modalités (d’un retour de la France) sont en train d’être discutées au sein de l’Alliance atlantique. Est-ce qu’il y aura un vote (des pays membres) ou pas, on ne le sait pas encore », a expliqué M. Babacan samedi à la presse turque. Il a précisé que le retour de la France dans l’alliance occidentale « est plutôt une affaire politique que légale. La plupart des alliés de l’Otan y voient une décision positive, mais nous sommes toujours en train de l’évaluer », laissant entendre que gouvernement turc pourrait s’y opposer si Paris continuait de freiner l’entrée d’Ankara dans l’UE. Soucieux d’engranger les voix du camp national, Nicolas Sarkozy avait fait du non à l‘entrée de la Turquie dans l’UE l’un des thèmes de sa campagne pendant la présidentielle de 2007, prônant à la place un « partenariat spécial », dont Ankara ne veut pas entendre parler. Pendant sa présidence tournante de six mois, de juillet à décembre 2008, le président français avait néanmoins accepté d’ouvrir deux nouveaux chapitres de la candidature de la Turquie, portant leur nombre à 10 (sur 35). Un geste considéré comme tout à fait insuffisant par la partie turque, qui, réponse du berger à la bergère, pourrait s’opposer aux demandes françaises de réintégrer le commandement militaire de l’Otan…" Source